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Giornata mondiale dei vegani, 1 novembre 2024

Giornata mondiale dei vegani
Mentre aumenta il numero di vegetariani e vegani in Italia e nel mondo
dall’Europa si respingono i tentativi di vietare carne coltivata e meat sounding

Biolab: “I governi dovrebbero incoraggiare il consumo di proteine alternative, che rappresenta una strada concreta per una reale transizione ecologica”

Roma, 30 ottobre 2024 – Secondo il  Rapporto Italia, pubblicato a maggio da Eurispes, continua ad aumentare il numero di italiani che scelgono una dieta priva di proteine animali. A dichiararsi vegetariano è il 7,2% del campione intervistato, il valore più alto nei dieci anni considerati. I vegani sono il 2,3% del campione e, pur rimanendo stabili rispetto al 2023, hanno visto quadruplicare i loro numeri tra il 2014 e il 2024.
Parliamo pur sempre di scelte di nicchia ma in un paese come l’Italia che ha una cultura culinaria tradizionale con radici molto profonde, si tratta di un trend che merita una forte attenzione da parte della politica e dell’opinione pubblica e che si inserisce in un contesto mondiale che vede un aumento costante di persone che scelgono proteine alternative a quelle animali. Secondo gli ultimi dati
, nel 2023 i vegetariani generici sono stati stimati in circa il 22% della popolazione mondiale, quindi 1,735 miliardi, mentre i vegani nel mondo sono sull’1%, quindi 79 milioni. Numeri che vengono particolarmente richiamati nella giornata mondiale dedicata al veganesimo che si celebra l’1 novembre.

 

Un contesto di crescente consapevolezza della popolazione sui temi ambientali ed etici al quale sembra allinearsi l’Europa che continua a bocciare i tentativi di alcuni Stati di vietare la carne coltivata. “Ingiustificato” secondo la Commissione Europea il disegno di legge che in Ungheria vieterebbe la produzione e l’immissione sul mercato di carne allevata in laboratorio. È stato invece il Consiglio di Stato francese a fermare il decreto che vietava le etichette di prodotti vegetali che richiamano la denominazione di prodotti a base di carne.

Sempre la Commissione Ue a inizio anno ha archiviato, per vizi procedurali, il disegno di legge italiano che prevedeva sia il divieto di produzione e vendita di carne coltivata sia l’utilizzo di denominazioni che richiamassero alla carne nelle etichette dei prodotti plant based (meat sounding). Un congelamento del decreto che però sta tenendo nel limbo le aziende italiane di prodotti a base vegetale che stanno aspettando da quasi un anno di uscire da questa impasse.

“Siamo convinti – dice Massimo Santinelli, fondatore di Biolab, una delle maggiori aziende italiane nei prodotti plant based – che produrre carne e pesce a base vegetale, e incoraggiare i cittadini a consumare questi prodotti può rappresentare una vera inversione di tendenza rispetto al cambiamento climatico, alla perdita di biodiversità dei suoli e alla desertificazione dei nostri mari. I governi, invece di scoraggiare il consumo di proteine vegetali, dovrebbero incoraggiare la produzione e contribuire a informare i consumatori spingendoli sempre più verso scelte in linea con le esigenze di una reale transizione ecologica non più rimandabile”.

 

D’altro canto gli orientamenti dei consumatori non lasciano spazio a dubbi. Solo in Italia, parliamo di un mercato che nel 2023 ha raggiunto, come valore delle vendite, i 641 milioni di euro, e che è in crescita da anni: secondo i dati del Good Food Insitute totalizza un aumento del 16,1% rispetto al 2021 e dell’8% rispetto al 2022. Cifre che fanno guadagnare al nostro paese il titolo di terzo mercato più grande d’Europa.  I consumatori italiani sembrano infatti sempre più convinti della necessità di diminuire il consumo di carne e di prodotti animali e le aziende produttrici assecondano una tendenza virtuosa e inarrestabile.

Del resto, come scrive il Good Food Insitute, il passaggio alla carne vegetale e coltivata potrebbe ridurre le emissioni climatiche di circa il 92% rispetto all’allevamento convenzionale. Inoltre, la produzione carne di origine vegetale può utilizzare fino al 99% di suolo in meno rispetto a quella convenzionale. Che significa liberare spazio per ripristinare gli habitat e fare spazio a metodi di allevamento più rispettosi della natura.

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